10 Ott Felici collisioni tra arte e scienza
Felici collisioni tra arte e scienza
A cura di Esploratori Culturali CGN
E due parole fanno bang!
È celebre il discorso che Steve Jobs tenne nel 2005 alla Stanford University, nel quale il fondatore della Apple raccontò di aver scelto in gioventù un corso di calligrafia presso il Reed College. “L’ottimo corso, interessante sotto il profilo storico e raffinato sotto quello artistico, coglieva cose che la scienza non è in grado di afferrare e mi affascinò. Tuttavia nessuna di queste cose aveva alcuna speranza di trovare un’applicazione pratica nella mia vita. Eppure, dici anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo computer Macintosh, tutto mi tornò utile. […] Se non fossi capitato in quel particolare corso, al college, il Mac non avrebbe mai avuto stili di carattere multipli né font spaziati in maniera proporzionale. E siccome Windows non ha fatto che copiare il Mac, molto probabilmente non li avrebbe avuti nessun personal computer.”
Queste parole di Steve Jobs esprimono bene il fruttuoso connubio tra arte e scienza e ci ricordano che le competenze scientifiche e tecnologiche non sono le uniche forze che guidano l’innovazione.
Ben prima dell’avvento del Mac, Leonardo da Vinci era stato uno dei massimi esempi della creatività che fiorisce quando le scienze dure e le scienze umane interagiscono. E quando Albert Einstein veniva ostacolato mentre lavorava sulla teoria della relatività generale, tirava fuori il violino e suonava Mozart fino a quando non riusciva a riconnettersi a quella che chiamava “l’armonia delle sfere”.
Questa felice contaminazione tra discipline umanistiche e scientifiche la troviamo oggi, ad esempio, nel lavoro di Refik Anadol, un media artist turco che risiede a Los Angeles, la cui ricerca coniuga arte, scienza e tecnologia ed esplora i modi in cui macchine intelligenti e tecnologie digitali consentono di creare ambienti immersivi che cambiano la nostra percezione del tempo e dello spazio.
Al posto di pennello e scalpello, Refik utilizza l’intelligenza artificiale e i dati come materiale per creare immagini ipnotizzanti che chiama “dipinti di dati” e “sculture di dati”, nonché installazioni immersive. Opera servendosi dell’apporto di uno staff eterogeneo, formato da architetti, musicisti, programmatori, designer e scienziati, con cui collabora per ampliare la gamma delle possibilità espressive del digitale e dell’elaborazione dati.
Una delle opere più conosciute di Refik Anadol è Melting Memories, che nasce da un evento tragico nella vita dell’artista, cioè la scoperta che a suo zio era stato diagnosticato l’Alzheimer. Come ricorda l’artista “A quel tempo, riuscivo a pensare solamente a trovare un modo per celebrare come e cosa ricordiamo quando siamo ancora in grado di farlo. Ho iniziato a pensare ai ricordi non come a una scomparsa, ma a uno scioglimento o un mutamento di forma”. Grazie alla collaborazione con il Neuroscape Laboratory dell’Università della California, Anadol ha analizzato i dati delle encefalografie di diverse persone per comprendere la natura degli impulsi della memoria all’interno del cervello umano. I dati raccolti sono stati elaborati da algoritmi e tradotti tramite modelli di design compositi per dare vita a strutture estetiche. Il risultato è un’opera che, utilizzando una tecnologia avanzatissima, consente a chi la guarda di vivere un’esperienza estetica che interpreta il movimento all’interno del cervello umano nell’elaborazione dei ricordi. Un vero e proprio tributo a ciò che lo zio di Refik aveva perso, cioè la capacità di elaborare i ricordi.
Un altro spettacolare esempio dell’arte di Refik Anadol è Renaissance Dreams, opera ispirata al Rinascimento Italiano e composta da quattro capitoli, ciascuno incentrato su altrettanti temi: pittura, scultura, letteratura e architettura. Circa un milione di immagini di opere prodotte nel nostro paese tra il 1300 e il 1600 sono state processate attraverso algoritmi GAN in grado di auto-apprendere e generare una forma multidimensionale dinamica. Il risultato? Una composizione di forme multidimensionali dinamiche a cui l’intelligenza artificiale ha attribuito volumi e colori nuovi ed associato un sound design ad hoc. Una vera e propria “passeggiata” ipnotica sulle tracce della storia dell’arte italiana.
Quello dell’intreccio tra arte e scienza è un campo esplorato anche da Mauro Martino, fondatore e direttore del Visual Artificial Intelligence Lab all’IBM Research, con sede a Cambridge, US, e Professor of Practice presso la Northeastern University a Boston. Oggi, con il suo gruppo di lavoro all’IBM, Martino crea nuovi modi per divulgare a rendere comprensibile la ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale e dei big data. “Oltre a comprendere le reti neurali artificiali, il mio Visual Ai Lab approfondisce e sperimenta l’estetica che si può creare con queste tecnologie” spiega Martino.
Tra i suoi progetti passati, spicca AI Portrait Ars, un sistema di ritrattistica digitale che trasforma il viso delle persone in un’opera d’arte.
La tecnologia utilizzata si chiama Gan Model, una tipologia di modelli generativi oggi molto diffusi nell’ambito dell’intelligenza artificiale, basati su reti neurali addestrate a generare nuovi contenuti. Come spiega Martino, “Dopo aver visto per milioni di volte una collezione di circa 45mila dipinti accuratamente selezionati, il modello genera uno spazio Z, chiamato spazio latente, che contiene in sé la descrizione di tutti i possibili ritratti che i grandi maestri avrebbero potuto dipingere.”
L’algoritmo decide autonomamente quale stile utilizzare per il ritratto: in base ad alcuni dettagli del volto o allo sfondo potrebbe ispirarsi a Rembrandt, ad esempio, o a Warhol.
La contaminazione tra tech e humanities è il filo conduttore anche del lavoro di Chiara Luzzana, che è considerata tra i sound designer più innovativi e visionari del momento. Chiara registra il suono degli oggetti inanimati per svelarne la natura musicale e trasforma i rumori in sinfonie. Esperta di psicoacustica e neurobiologia della cognizione musicale, è specializzata nella costruzione di microfoni e compositrice di colonne sonore per brand: tra i suoi clienti Diesel, Sky, Nivea, Lavazza e Vodafone.
“Ogni marchio è abituato ad avere il proprio logo, il suo colore, il suo slogan. Quando si tratta di musica il brand si affida spesso alle librerie di suoni, cioè a qualcosa di già edito, pensando che così sia più facile farsi riconoscere. L’effetto che ne deriva è però esattamente l’opposto: parlare con la musica di altri. Nel mio lavoro parto dall’analisi del brand per poi arrivare a una fase di analisi sonora, fino alla scelta o anche alla costruzione dei microfoni più adatti per registrarne i rumori e trasformarli in musica. Il suono che creo deve parlare per il cliente: chiudendo gli occhi, chiunque deve capire di cosa si parla” racconta Chiara Luzzana. Così, ad esempio, nel progetto per Nivea ha catturato il suono della pelle, sollecitata da diversi tipi di emozione. Per Isko e Diesel ha fatto suonare il denim, estrapolando i singoli fili che compongono il tessuto e suonandoli come note, grazie a un microfono sensibilissimo incollato su un archetto per violino.
Tra i suoi progetti anche The sound of the City, una colonna sonora per ogni città del mondo.